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Strage di Bologna: le verità "strettamente personali" di Marcello De Angelis

Faber

di Faber


Non esiste una sola verità nel racconto di un evento. Per fare un esempio, di un incidente stradale è sufficiente mutare l'angolo di osservazione per averne un'altra visione, altrettanto veritiera. Di questo passo, gli esempi sarebbero numerosi. Ma, se l'attenzione cade sull'ultima affermazione di Marcello De Angelis, portavoce del presidente della Regione Lazio Francesco Rocca, potremmo scoprire che, dopo la verità storica, la verità giudiziaria, la verità personale, ne esiste un'altra, di "strettamente personale e familiare". E' ciò ci induce a pensare appunto De Angelis con il suo recente post su Facebook che contesta le responsabilità dell'eversione di destra nella strage di Bologna del 2 agosto 1980. Anzi. Marcello De Angelis, militante di Terza Posizione, più volte parlamentare, dopo aver conosciuto il carcere a cavallo degli anni Ottanta e Novanta del Novecento per terrorismo, non esita a stigmatizzare anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che nel 43° anniversario dell'attentato ha puntato il dito sulla matrice neofascista della strage "accertata" e sulle "coperture" e "gli ignobili depistaggi".

Ma il portavoce del presidente Rocca non ci sta. Infatti, sostiene di saper per certo che "con la strage di Bologna non c'entrano nulla Fioravanti, Mambro e Ciavardini. Non è un'opinione: io lo so con assoluta certezza". Appunto, una verità strettamente personale timbrata dall'elemento familiare di elevata caratura, perché sua sorella Germana è moglie di Ciavardini. Ma, se si guarda agli intrecci, anche in questo caso "strettamente personali e familiari", Marcello De Angelis è fratello di Nazareno, detto "Nanni", suicida in carcere nell'ottobre del 1980 (versione mai accettata dalla famiglia), che insieme al fratello partecipava alle azioni "militari" di "Terza Posizione", il gruppo eversivo di estrema destra fondato da Giuseppe Demitri, Gabriele Adinolfi e Roberto Fiore nel 1978. Dei tre, il primo aderì ai Nar di Fioravanti, ed è morto in un incidente stradale nel 2006; gli altri due sono sopravvissuti cavalcando le onde della polemica politica (e non solo) nelle cronache del Duemila, in particolare l'ultimo, Roberto Fiore, fondatore di Forza Nuova, arrestato nel 2021 per l'assalto alla sede nazionale della Cgil di Roma. Questo il côté ideologico di Marcello De Angelis, mai rinnegato, manifestato sempre con pari e lucida coerenza. Nella notte, lo stesso ha postato che da libero cittadino ha il diritto d'opinione e che se dovrà pagare per questo "e andare sul rogo come Giordano Bruno per aver violato il dogma", ne è orgoglioso.

Con altrettanta coerenza, l'Anpi nazionale ha ricordato di aver già in passato chiesto le dimissioni di De Angelis per la sua incompatibilità con i valori della Repubblica democratica e antifascista della Costituzione".

Ma il revisionismo sulla strage di Bologna non è di oggi e ad ogni commemorazione raccoglie nuovi adepti. Il penultimo in ordine di tempo, prima della deflagrante sortita di De Angelis, è stato Armando Mantovani, segretario cittadino e capogruppo leghista al consiglio comunale di Lonate Pozzolo, 11 mila abitanti in provincia di Varese, che ha dichiarato: “La strage di Bologna un attentato neofascista? Non è vero. In transito era un vagone palestinese… che è stato fatto esplodere apposta a Bologna. Poi hanno buttato dentro il Fioravanti e compagnia, ma non erano loro”. Nulla di inedito.

L'affermazione ricalca in forma colorita quanto emerge dalla monumentale ricostruzione di Enzo Raisi, dirigente del Fronte della Gioventù missina, parlamentare dal 2001 al 2013, tradotta nel libro "Bomba o non bomba"[1].

L'autore, membro della Commissione Mitrokhin, era presente il 2 agosto del 1980 nelle vicinanze della stazione di Bologna, prossimo alla partenza per il servizio militare nell'Arma dei carabinieri. La sua tesi è nota: l'esplosione a Bologna fu un errore. La bomba doveva scoppiare a Roma. Morale: i Nar di Fioravanti sono estranei alla strage, la responsabilità è dei palestinesi, irritati per il mancato rispetto del "lodo Moro", un accordo non scritto che dalla prima metà degli anni '70 concedeva libertà di passaggio e di deposito di armi ed esplosivi sul territorio nazionale.

Dall'oscurità (e punti interrogativi) che circonda la ricostruzione di Enzo Raisi e di quella a più varianti di altri suoi epigoni, ultimo De Angelis, si ha la sensazione chiara di un'altra verità sotterranea che si vuole accreditare dagli amici e sodali di Fioravanti, Mambro e Ciavardini: l'assurdità di un gesto così crudele, come se l'estremismo di destra avesse avuto un'asticella etica e morale da non superare. Falso. Dalle ipotesi serie o grottesche di colpi di Stato alla Strategia della Tensione con i morti di piazza Fontana a Milano, di piazza della Loggia a Brescia e alle bombe sui treni, bombaroli ed eversori neofascisti hanno sempre dato l'impressione di volersi garantire una crudeltà di fondo per essere all'altezza dell'eredità della Repubblica di Salò. I morti ammazzati, partigiani e civili dell'epoca, cittadini innocenti di ieri, sono considerati danni collaterali di una strada ideologica che ha valore soltanto se può brillare con il sangue ed esaltarsi con la violenza sprigionata da una confusa nozione di virilità.

Allora c'è il sospetto che vi sia altro dietro le parole dei vari De Angelis, Mantovani, Raisi e dei vari professionisti della scopiazzatura. Che ci sia qualcosa di orrido all'ennesima potenza diventato preda di un'ossessione da nascondere con ogni mezzo all'indagine giudiziaria e alla ricerca storica per non svelare misteri davvero inconfessabili. E, forse, di cui vergognarsi, anche se la vergogna non fa (ancora) parte del patrimonio genetico dei terroristi neofascisti.

Note

[1] Enzo Raisi, Bomba non bomba, Alla ricerca ossessiva della verità, Minerva Edizioni, 2012


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