Da alcuni giorni circola in Rete una petizione che chiede le dimissioni del presidente del Senato Ignazio Benito Maria La Russa, conseguenti alle sue dichiarazioni sull'azione partigiana di via Rasella a Roma del 23 marzo 1944. Un attentato pianificato, preparato ed eseguito dai Gap romani. La petizione ha tra i suoi primi firmatari esponenti della cultura italiana, politici, giornalisti, docenti universitari, già parlamentari.
Ma, indipendentemente dalle scelte personali che non ci competono e al netto dell'uso intellettuale che in queste circostanze possono correre a fianco di qualunque iniziativa, è di estrema importanza rilevare che il "cuore" della petizione si concentri nella posizione dell'Anpi espressa dal presidente nazionale Gianfranco Pagliarulo, secondo cui le frasi - un intervento a gamba tesa - del presidente del Senato "sono semplicemente indegne per l'alta carica che ricopre e rappresentano un ennesimo, gravissimo strappo teso ad assolvere il fascismo e delegittimare la Resistenza".
Sul piano storico, aggiunge Pagliarulo, va ricordato che "il terzo battaglione del Polizeiregiment colpito a via Rasella, mentre sfilava armato fino ai denti, stava completando l'addestramento per andare poi a combattere gli Alleati e i partigiani, come effettivamente avvenne. Gli altri due battaglioni del Polizeiregiment erano da tempo impegnati in Istria e in Veneto contro i partigiani. L'attacco di via Rasella, pubblicamente elogiato dai comandi angloamericani, fu la più importante azione di guerra realizzata in una capitale europea. Dopo la Presidente del Consiglio, anche il Presidente del Senato fa finta di ignorare che non furono i soli nazisti a organizzare il massacro delle Fosse Ardeatine, perché ebbero il fondamentale supporto di autorità fasciste italiane".
Dunque, è quantomai visibile che le "picconate" di Ignazio Benito Mario La Russa contro la Resistenza italiana - non casuali a poche settimane dal 25 aprile e promosse con una voluttà sospetta registrata in altre circostanze - ignorino consapevolmente non soltanto la storia del nostro Paese, più che comprensibile per chi ha nei suoi precetti politici il Fascismo e come zenit ideologico Benito Mussolini, ma la storia nel suo insieme. Il che ci porta a sospettare, quasi un obbligo con il presidente La Russa, a questo punto, che il fine ultimo sia quello di voler oscurare il dramma della Seconda Guerra mondiale scatenata dalle forze del Male nazifasciste contro le democrazie liberali; una guerra di sistematica aggressione per imporre un nuovo ordine mondiale fondato sul totalitarismo assoluto.
Ora, se non è necessario riportare alla memoria lo stracitato "1984" di Orwell con i suoi fantasmi epocali, è doveroso riportare all'opinione pubblica i rischi che corre la democrazia dinanzi a una deriva storica artatamente costruita e divulgata (senza alcun contraddittorio, tra l'altro) da chi ricopre alti ruoli istituzionali e da chi è al governo. L'ignavia storica, infatti, non sempre si fissa sotto forma di revisione della storia - fattore culturalmente doveroso per gli studiosi su basi e prove documentate - ma spesso opera e agisce nella costante riscrittura di episodi decontestualizzati tra loro. Una precondizione per ridare vitalità e continuità a idee illiberali e antidemocratiche, binari su cui far transitare un altro e ben più pericoloso revisionismo: quello politico.
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