di Roberto Martin
Presentato la settimana scorsa, l'autobiografia di Palmiro Gonzato, partigiano in Veneto, classe 1926, che di recente ha festeggiato le 97 primavere, ripropone con stridente attualità, rispetto ai comportamenti del governo e di una delle più alte cariche dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa, il senso di una scelta e i prezzi pagati per mantenersi coerenti proprio a quella scelta durante la Resistenza.
In "Una vita dalla parte giusta", Impremix, Palmiro Gonzato, che entra in semiclandestinità a soli 18 anni, racconta con un gioco di parole quanto non fosse facile stare dalla parte giusta. Meno che mai in tempi di guerra. Se non altro, perché, come scrive nel suo libro "richiede il coraggio di scelte che possono avere esiti drammatici, scelte che impegnano non solo la tua vita, ma anche quella delle persone a te più vicine e che ti danno aiuto. Scelte che ti interrogano sulla concreta possibilità di uccidere ed essere uccisi".
Vero è che la scelta di Palmiro è una risposta istintiva alla ferocia della milizia nazifascista. Ma anche in questo caso occorre possedere tanta forza da potere resistere con efficacia alla violenza. Oltre che stare dalla parte giusta, non è meno difficile fare la cosa giusta. Occorre sapere che cosa fare, nel momento più opportuno e con robusto senso della realtà, senza mail temporeggiare come hanno fatto troppi attendisti o eroi dell’ultima ora. Occorre saper prendere decisioni efficaci per l’obiettivo e il progetto che intendi realizzare, ma senza esporre né le persone che ti danno copertura né i civili. Per questo non c’è scuola. È tutto più difficile se non disponi del privilegio di un’istruzione superiore; se non hai alle spalle un retroterra di radicato antifascismo. Specie se hai solo 18 anni e operi in brigate sparse nella pianura, ovvero in SAP che operano ai margini delle formazioni partigiane più organizzate. La scuola fascista ti ha solo inculcato menzogne e obbedienza. Così ti trovi a dovere imparare cammin facendo, letteralmente sulla strada, esattamente come Palmiro Gonzato a raccontato in un suo precedente libro, "Il cammino della libertà". Devi spostarti, devi camminare in posti solo a te noti, senza farti vedere. Devi diventare invisibile: ma non da solo, insieme ai tuoi compagni più affidabili. Capacità, determinazione, affidabilità e sostegno reciproco sono le parole chiave di questa esperienza e saranno il filo conduttore della vita di Palmiro Gonzato.
Quando raggiungere l’obiettivo dipende dalla fedeltà ai valori e dalla capacità di trovare soluzioni originali e decisioni appropriate in situazioni nuove o impreviste, tu sei responsabile del successo o del fallimento della tua squadra e questo legame di reciproca interdipendenza nella lotta armata come nell’azione sindacale e politica si impone quale condizione di sopravvivenza prima, e di successo dopo, dell’intero gruppo. Palmiro fa tesoro dell’esperienza maturata nella lotta partigiana e da qui prende inizio un percorso di formazione all’azione collettiva come fattore di continuità in tutte le altre esperienze della sua lunga vita.
A sua volta da apprendista si fa maestro. La scuola di politica, la sua università è diventata la Torino operaia del secondo dopoguerra, in cui le organizzazioni dei lavoratori, dopo la repressione fascista, sono rinate e hanno messo radici, si sono sviluppate nei grandi scioperi organizzati tra il marzo ’43 e il 1945, prefigurando quella società nuova e solidale per la quale tutti i resistenti hanno combattuto. Oggi lo scenario è profondamente cambiato. Non esiste più la grande fabbrica, non esiste più il lavoro industriale di massa: "movimento operaio" è ormai una parola desueta di una storia che appare addirittura remota. Si è perduta purtroppo quella disciplina dell’azione collettiva che ha consentito la conquista di nuove condizioni di lavoro e di diritti sociali fino a ieri impensabili.
Davanti a noi abbiamo solo una società divisa da opposti risentimenti, un lavoro frammentato e sempre più spogliato di reddito e riconoscimento sociale, sullo sfondo di nuove guerre, migrazioni, pandemie e devastazioni climatiche. E allora ci chiediamo: e noi? E i nostri figli e i nostri nipoti? Saremo, saranno ancora capaci, in un contesto tanto profondamente mutato, di ricostruire attraverso l’azione collettiva una cittadinanza compiutamente realizzata, i cui diritti politici, civili, sociali possano essere esercitati al di là dei ristretti confini nazionali? O tutto ciò resta un’utopia, nonostante proprio di questo si senta maggiormente bisogno?
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