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A Torino, nel ricordo del sacrificio di Ignazio Vian

di Nino Boeti

Autorità civili e militari, carissimo Sindaco di Boves, carissima Presidente del Consiglio Comunale, buongiorno a tutte e tutti. Un saluto particolare desidero rivolgere ai familiari di Ignazio Vian, benvenuti a Torino.

Alla scuola “Ferruccio Parri e Ignazio Vian” di Torino, la presenza dei ragazzi delle scuole aggiunge valore all’incontro di oggi. All’Associazione “Nessun uomo è un’isola”, fondata da Felice Tagliente, al quale rivolgiamo un pensiero affettuoso e al Presidente Simone Pezzot che, con passione e competenza, continua il lavoro di tramandare la memoria sulle sofferenze e sui dolori vissuti dentro le Carceri Nuove di Torino.

Un pensiero rivolgo anche al generale Cravarezza, caro e grande amico, che fu tra i primi a condividere questo progetto co l’entusiasmo che lo caratterizzava, ma che non ha avuto il tempo di vederne la realizzazione. Ringrazio anche la Sezione Anpi “Nicola Grosa” e il suo vicepresidente Massimo Pizzoglio che hanno messo a disposizione del monumento la tecnica del QRcode che consente facilmente di conoscere la Storia degli uomini che qui persero la vita. All’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani e a Marco Castagneri.

L’Anpci ha l’obiettivo di testimoniare l’impegno dei cattolici cristiani nella guerra di Liberazione. Quella che fu definita la Resistenza bianca: Carlo Bianchi, Enrico Mattei, Teresio Olivelli, Giuseppe Perotti, Gino Pistoni, Tina Anselmi, Ignazio Vian.

Ignazio Vian, primo tra i primi nella lotta resistenziale, come recita l’accompagnamento alla sua medaglia d’oro al valor militare. Fu una Resistenza morale quella ispirata ai valori del Cristianesimo: uguaglianza, giustizia sociale, solidarietà, fratellanza. Questi valori che spinsero Ignazio Vian, il 19 settembre del 43 mentre era sottotenente al deposito della Guardia di Frontiera di Boves, a lasciare il suo posto, a salire sulla Bisalta, la montagna che sovrasta il territorio di Boves, a formare una squadra di 150 uomini e a combattere il nazifascismo.

Lo aveva già detto Duccio Galimberti nel luglio 1943 che i nazisti e i fascisti andavano combattuti con le armi. Ignazio Vian era venuto a conoscenza dell’orrore di cui si erano responsabili i nazisti nei territori occupati e aveva scritto in un diario: “Questo orrore ci è tanto più vergognoso, noi figli dei martiri dell’indipendenza nazionale, nemici naturali di ogni genere di oppressione e di brutalità, incatenati alla biga di un pazzo, siamo costretti assecondarlo, aiutando in tutti i modi e con il sangue il mostro del secolo”.

Quel pazzo era Hitler che considerava per altro l’esercito italiano un esercito di inetti.A Boves tutto è cominciato: l’uccisione di 32 civili, la distruzione di 44 case, il martirio di don Giuseppe Bernardi e del suo vice parroco don Mario Ghibaudo, e di Antonio Vassallo, un imprenditore che aveva tentato una mediazione per lo scambio di due prigionieri tedeschi.

Dopo quell’episodio Ignazio Vian, con i suoi uomini, raggiunse la Val Cornaglia anche per non esporre il territorio di Boves a nuove ritorsioni da parte dei nazisti. Nel marzo del 44 Ignazio Vian si unì con i suoi uomini al Primo Gruppo Divisioni Alpine di Enrico Martini Mauri che raccolse un esercito di 11 mila uomini. Così nel suo libro “Alpini Penne Nere”, ristampato dal Consiglio Regionale e con la prefazione del professor Quaglieni, che ringrazio per la presenza.

Racconta il senso del loro impegno: “Coloro che come noi non intendono accettare la tutela di un partito, vengono denominati apolitici, e i giudizi più o meno benevoli vengono espressi nei nostri riguardi. Perché apolitici? E’ vero. Non vogliamo essere l’espressione di un solo partito, ma l’espressione della nazione nella sua collettività, un vero esercito democratico senza preferenze di parte. Stiamo bene tutti insieme, perché siamo tutti partigiani, tutti volontari della Libertà. E ci piace che sia così. Perché sogniamo un Paese che somigli un poco a questa nostra idea”.

Vian era il vicecomandante del Primo Gruppo Divisioni Alpine. Uomini che combatterono coraggiosamente contro i nazifascisti e la loro violenza. Sempre Mauri ricorda: “Hanno ammazzato Borgna, il panettiere, perché reo di averci fatto il pane e suo figlio perché si è buttato nelle braccia del padre e sua madre perché si è lanciata per salvare il figlio. E noi lassù, aggrappati all’ultimo lembo di terra libera, ristretti alle ultime rocce di Terra Bruna spariamo gli ultimi colpi”.

Il 19 aprile del 44, in missione a Torino, dopo la morte dei componenti del CLN, in seguito ad una delazione Ignazio Vian venne arrestato dalla Gestapo. Incarcerato nel primo braccio tedesco delle Nuove, cella numero 17, torturato ogni giorno per tre mesi nella caserma di via Asti, dove c’erano gli specialisti della tortura, non tradì mai i suoi compagni.

Con un coccio di vetro, trovato durante il trasporto giornaliero alla caserma di via Asti, cercò di uccidersi tagliandosi le vene dei polsi. Scoperto dai nazisti fu curato con trasfusioni di sangue perché il suo supplizio potesse continuare. Sul muro della sua cella c’è scritto: “Meglio morire che tradire”.

Il 22 luglio del 44, assieme ad altri tre compagni, prelevati dalle Carceri Nuove, Battista Bene, Felice Bricarello, Felice Valentino, fu impiccato qui. Mauri commentò così la sua morte: "Fu più cavalleresco tra i cavalieri della montagna, il più puro dei Combattenti per la Libertà". Non moriva per un’idea astratta. Non aveva mai voluto fucilare un disertore, né permesso che si infierisse su un prigioniero. Credeva nell’onore e nella generosità degli uomini. E per questo moriva, per la vera libertà che è l’ideale di una giustizia sinceramente e profondamente umana.

Ignazio Vian ebbe anche la Legion d’Onore per avere aperto un fronte di dialogo con il mondo ebraico. Grazie a chi ha voluto sostituire una lapide sbiadita con questa pietra delle Valli Cuneesi. E’ il giusto tributo ad un uomo straordinario.




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